La storia

Testi tratti da: “Il gioco del pallone col bracciale: quattro secoli di storia“,  di Leone Cungi, e: “Pallone col bracciale“, Wikipedia.


Prima ancora che gli sport dell’Inghilterra vittoriana si diffondessero in Italia, erano i giochi “sferistici”che la facevano da padroni. Su tutti, il più amato e il più praticato era il pallone col bracciale. Per oltre quattro secoli, a partire dal Cinquecento, il bracciale ha tenuto banco fino a toccare nell’Ottocento i vertici massimi del consenso e della popolarità. La straordinaria abilità dei giocatori “nell’ addomesticare” con un pesante attrezzo irto di punte (il bracciale) una capricciosa sfera di cuoio e scagliarla con precisione e vigore da una parte all’altra di un rettangolo da gioco, in un duello a distanza di botta e risposta, estasiava talmente le folle che annotava messer Antonio Scaino da Salò: “tanto è il piacere dè spettatori, ch’io più volte gli ho veduto in tal modo intenti che nè trar fiato, nè aprir bocca, nè batter occhi si vedevano” . Tra la fine del Settecento e gli inizi del secolo successivo, con la costruzione di impianti specifici (sferisteri), con la codificazione delle regole e con il propagarsi del professionismo, il pallone assurse al ruolo e all’importanza di sport nazionale acquisendo tutte le caratteristiche dello spettacolo pubblico modernamente inteso. Il gioco si praticava in speciali arene, dette sferisteri, realizzate soprattutto nel settecento e nell’ottocento in molte città grandi e piccole dell’Italia centro-settentrionale. Queste arene avevano delle precise caratteristiche: anzitutto necessitavano di un terreno piano e ben battuto, lungo dai 90 ai 100 metri e largo dai 16 ai 18, con intorno un po’ di spazio per il pubblico e, soprattutto, era indispensabile un muro d’appoggio laterale alto una ventina di metri che poteva essere usato come appoggio durante gli scambi.

Una partita di fine '800 a Firenze

Una partita di fine ‘800 a Firenze

Veniva usato un bracciale particolare ricavato da un unico pezzo di legno scavato in modo tale da adattarsi quanto più possibile alla mano e al polso del giocatore, munito di sette cerchi contornati di denti o punte di corniolo, a piramide smussata, per un totale di 105 punte.

Pallone e Bracciale

Pallone e Bracciale

Numerose insigni testimonianze del tempo ci fanno conoscere il vastissimo seguito che il gioco aveva: Wolfgang Goethe, per esempio, ricordava di aver assistito, a Verona nel 1786, ad una partita in compagnia di altri quattro – cinquemila spettatori; De Amicis confermava lo stesso numero di presenze nello sferisterio di Bologna verso la fine dell’Ottocento; alla metà dello stesso secolo, ci informa Pesci, l’arena del pallone fuori della porta a Pinti a Firenze ” non bastava a contenere i numerosissimi spettatori, e molti dovevano restar fuori dallo steccato ad aspettare le notizie della partita ed i palloni sbagliati”. Nel capoluogo toscano il richiamo del pallone era così forte che nel 1895, in una città di circa 200.000 abitanti, funzionavano contemporaneamente due sferisteri, quello ” Caroti ” alla porta alla Croce e delle “Cascine” fuori porta al Prato, frequentati quotidianamente dalla primavera alla fine dell’estate da qualche migliaio di appassionati. Non era facile diventare bravi giocatori e per aspirare, poi, a far parte dell’elitè dei campioni era necessario possedere potenza, agilità, destrezza, resistenza, coordinazione e, a detta degli esperti in materia, coraggio, molto coraggio per ribattere di “posta” (al volo) il pallone colpito con forza dall’avversario.

La febbre del pallone colpì soprattutto l’Italia centro settentrionale. La Toscana, non per nulla definita “culla del bracciale”, fu una madre generosa che fornì un grosso numero di giocatori di talento, basti pensare che una cittadina come Poggibonsi (SI) contava, ci racconta il De Amicis, ben diciasette professionisti. Altro merito fu quello di aver dettato, agli inizi dell’Ottocento, le nuove regole di gioco che contribuiranno non poco al passaggio del pallone da passatempo e gioco di piazza a quello di vero e proprio spettacolo pubblico. Non per niente questo gioco viene anche chiamato “Bracciale Toscano

Giocatore di pallone col bracciale, Stadio dei Marmi, Roma.

Giocatore di pallone col bracciale, Stadio dei Marmi, Roma.

Ma anche il Piemonte, l’Emilia Romagna e le Marche furono fertili procreatrici di giocatori di gran “razza” che si elevarono per classe e personalità al di sopra di tutti e guadagnarono nella loro carriera onori , fama e …somme di denaro considerevoli che farebbero invidia agli stessi fuoriclasse del calcio attuale. Un esempio su tutti, quello di Carlo Didimi da Treia, il “garzon bennato” cantato dal Leopardi che nel maggio 1830 chiedeva per una sua eventuale esibizione nella vicina Macerata un compenso di “non meno di 600 scudi romani”. Contando che all’epoca un maestro elementare dello stato ponticifio intascava dai 25 ai 60 scudi all’anno, è facile valutare l’entità del cachet richiesto. L’infatuazione per questi mitici “eroi” era d’altronde tanta e tale che si arrivò a collezionarne l’immagine fotografica negli album di famiglia , come fanno i ragazzi d’oggi con le celebri figurine Panini. Di alcuni massimi campioni si vendevano statuette in ceramica raffiguranti il giocatore nella classica divisa bianca su cui facevano bella mostra le medaglie vinte in memorabili sfide. Sfide che divisero, ci raccontano le cronache, intere città in fazioni parteggianti per questo o quel giocatore.

Un altro aspetto caratteristico della grande popolarità del gioco furono i soprannomi e gli pseudonimi affibbiati dai tifosi ai giocatori: “Tremoto”, al secolo Giuseppe Barni di Peccioli (PI); ” Gran Diavolo”, Giuseppe Cerrato detto Battista di Portacomaro (AT); Antonio Malucelli di Bassano del Grappa; “Moschino” Giovanni Bastianello di Firenze; “Galinot”, Filippo Gallina di Santo Stefano Belbo (CN); “Diavolone”, Angelo Donati di Faenza; “il Veneziano”, Angelo Martini; “il Moro”, Raspolini; “il Belloni”, Gianni Foscaro di Poggibonsi; “el Cin”, Lorenzo Amati di Santarcangelo di Romagna; “Omnibus”, Gaspari; “il Bimbo”, Antonio Agostinelli di Mondolfo (PS); “Rosina”,Mantellini; “Napoleone”,Lorenzo Nidiaci di Poggibonsi; “Piombo”, Francesco Zappi di Faenza; ” Ghindò” Giuseppe Filippa di Cravanzana (CN); e l’elenco potrebbe riempire pagine e pagine, tanto fertile era la fantasia popolare e l’affetto per i propri beniamini.

Giuseppe Cerrato detto Battista di Portacomaro (AT)

Giuseppe Cerrato detto Battista di Portacomaro (AT)

Ad accrescere l’aureola di popolarità e di leggenda contribuirono gli episodi e gli aneddoti legati agli ” assi” del pallone. Tra quelli tramandatici dalle testimonianze orali e dalle cronache del tempo ne ricordiamo alcuni riferiti ai giocatori Ziotti e Frullani.  Giovanni Ziotti, famoso anche per riuscire a ribattere il pallone portando il bracciale dietro la schiena, sbalordiva per la sua precisione e il suo colpo d’occhio. Era capace di colpire in pieno con il pallone un tamburello posto a terra nel campo opposto così come riusciva a prevedere dove sarebbe caduta la sfera collocando sempre un tamburello nel punto esatto d’impatto con il terreno. Di Augusto Frullani ( Monte San Savino, 1858-1940), “recordman” di volate dalla battuta (i nostri fuoricampi) nelle arene più importanti, si racconta che ormai in là con gli anni, era solito trascorrere il tempo allo sferisterio1 del suo paese natale, Monte San Savino, assistendo ai palleggi o alle partite dei giovani dilettanti del luogo. Invitato ad effettuare qualche scambio, dichiarò che avrebbe volato tre palloni nel terrazzino ( ad oltre 100 m dalla battuta ed alto circa 20 m da terra) della casa situata a fianco della porta San Giovanni dove l’amico Nofri stava lavorando al suo tavolino da calzolaio. Salito quindi sul trampolino e chiamato il mandarino al lancio, effettuò tre magistrali colpi andando sempre a bersaglio, tra la sorpresa e lo spavento dell’inconsapevole Nofri e l’ammirazione dei presenti.

Il monumentale sferisterio di Macerata, inaugurato nel 1829, attualmente viene utilizzato per la rappresentazione di opere liriche

Il monumentale sferisterio di Macerata, inaugurato nel 1829, attualmente viene utilizzato per la rappresentazione di opere liriche

Dopo tanta gloria, per il pallone col bracciale giunse lentamente ed inesorabilmente il tramonto. Altri sport, altre mode, altri spettacoli travolsero nel corso del secolo passato l’antico gioco. Relegato ad un ruolo marginale conobbe anche l’onta, soprattutto nei paesi, di vedere usurpato il “sacro” terreno dello sferisterio da neofiti calciatori, nonostante le ire e gli improperi dei giocatori di bracciale. In qualche situazione non furono solamente gli sport emergenti, ciclismo e football in particolar modo, a decretarne la fine. A Pescia (PT), per esempio, sarà il progresso sotto la forma dei fili dell’energia elettrica, fatti passare , per una malaugurata idea, proprio lungo il muraglione del gioco, a privare i pesciatini del ginnastico esercizio del pallone alla fine dell’Ottocento. Dimenticato, allontanato dai grandi centri che ne avevano fatto la storia, il pallone trovò rifugio e salvezza nella quiete di alcune cittadine delle Marche (Treia e Mondolfo) e della Romagna (Faenza). E qui, grazie all’amore di indomiti appassionati il bracciale continuò a vivere come manifestazione folkloristica o come momento rievocativo.

Ferrara, Castello degli Estensi. Affresco della sala dei giochi - opera del '500 (E' la più antica rappresentazione del gioco del pallone col bracciale)

Ferrara, Castello degli Estensi. Affresco della sala dei giochi – opera del ‘500 (E’ la più antica rappresentazione del gioco del pallone col bracciale)

Dal 1992, con la costituzione di un Comitato Nazionale, con sede a Treia, il bracciale e tornato sulla scena agonistica con la disputa, a distanza di circa trent’anni dall’ultima edizione, del campionato italiano. Campionato che ha assegnato in questo scorcio di tempo i titoli a Faenza (1996), a Mondolfo (1994 – 1999), Monte San Savino (1998-2000), Santarcangelo di Romagna (1992) e Treia (1993-1995- 1997). Attualmente fanno parte del Comitato Nazionale del Gioco del Pallone i rappresentati delle città di Faenza, Mondolfo, Monte San Savino, Santarcangelo di Romagna, Treia e della provincia di Ravenna. Ultimamente grazie alla neonata associazione “Città del Bracciale” altre città si sono aggiunte a questa piccola cerchia, come Chiusi, che partecipa a questo campionato dal 2012 e ha conseguito fin da subito importanti vittorie sia nel torneo maschile che in quello femminile. A loro è affidata la difficile rinascita, il recupero storico-culturale e l’eredità di quattro secoli di storia del “principale e sovrano di tutti gli altri giuochi” .

Dal 1981, il gioco della palla al bracciale è praticato anche a Chiusi Scalo, nella versione denominata pillotta che, a differenza del bracciale classico, si gioca con un attrezzo di superficie piatta che semplifica l’approccio al pallone. Sono i nostri Ruzzi della Conca!

 

 


1 Dalle nostre parti ci sono molti sferisteri, alcuni adibiti a parcheggi, altri a parchi e campi di calcetto, altri purtroppo sono in rovina. Se ne possono vedere ancora per esempio a Arezzo, Sinalunga, Torrita di Siena, Montepulciano e Chianciano.